Dalle fiamme alla forza: imparare a danzare dopo il dolore

Ti ho vista.
Ti ho vista essere forte quando ormai non ne avevi più neanche una goccia dentro.
Ti ho vista sorridere, con le labbra tese e lo sguardo perso nel vuoto, mentre intorno a te infuriava una tempesta che nessuno sembrava notare.

So che “giocare a essere forti” non era più un gioco per te. Era diventata una trappola: più lo facevi, più il mondo pretendeva che continuassi, come se la tua resilienza fosse infinita.
Ma io ho visto la stanchezza nei tuoi occhi. Quella vera. Quella che non si cancella con un caffè o una notte di sonno.

Perché il nostro cammino, il tuo cammino, è fatto così: oggi ti chiedono di essere guerriera, domani di sorridere come se nulla fosse, dopodomani di danzare sopra le macerie dei giorni andati.
E tu lo fai. Senza fanfare. Senza lamentarti.
Ti trucchi, ti sistemi i capelli, metti quel rossetto rosso non per compiacere, ma per affermare: esisto, resisto, vado avanti.

Perché sai, lo senti nel sangue, che dopo i giorni grigi, quelli che offuscano ogni luce e ti fanno dubitare persino della tua voce, arriva un momento in cui la vita ti chiede di essere felice.
Non perché il dolore sia sparito, ma perché hai lottato abbastanza da meritarti la gioia.

La vita è una montagna russa: ti lancia in alto senza avvertirti, ti fa precipitare senza preavviso, ti lascia senza fiato in mezzo alle curve più improvvise.
E non ti prepara mai.
Non ti insegna ad avere coraggio.
Semplicemente… ti costringe a trovarlo.

E tu l’hai trovato.
Non perché fossi nata con l’armatura, ma perché hai cucito ogni pezzo di te, strappo dopo strappo, lacrima dopo lacrima, finché non sei diventata la tua stessa protezione.

Ti ammiro non perché sei perfetta, ma perché sei vera.
Perché hai attraversato l’ombra senza lasciarti divorare.
E oggi, anche se forse non te ne rendi conto, sei una luce per chi, come me, ti guarda e pensa: se ce l’ha fatta lei, forse posso farcela anch’io.

Ritina80

Foto di Gerd Altmann da Pixabay