Il peso delle voci che non mi conoscono
C’è un sussurro che ti segue, anche quando non c’è nessuno. Un’ombra che si infila nelle pause dei tuoi respiri, nelle pieghe dei tuoi silenzi. Sai che stanno parlando di te. Non sai come, non sai perché, ma lo senti: le parole degli altri ti sfiorano la pelle come spilli, anche se non ti hanno mai guardato negli occhi. Non conoscono il tuo nome, non sanno cosa nascondi nel petto, quali battaglie combatti ogni mattina per alzarti, per uscire, per fingere che vada tutto bene. Eppure, parlano.
Ti chiedi se sia invidia, quella cattiva che si nutre di ciò che non si possiede. O forse è solo il riflesso di vite che non sanno stare al mondo, e allora scaraventano sassi nel buio per sentirsi meno sole. Vorresti urlare che non sanno niente della tua stanchezza, delle notti in cui hai contato le crepe sul soffitto per non pensare. Vorresti dirgli che le loro parole sono frecce scagliate a caso, ma che a volte colpiscono lo stesso, anche se non mirano a niente.
E allora ti chiudi. Stringi i denti, abbassi lo sguardo, ma il dubbio resta: perché il loro giudizio, così leggero per loro, per te diventa un macigno?
Forse perché le parole fanno male non per chi le dice, ma per chi le ascolta. Perché ogni frase sussurrata è un piccolo specchio che ti costringe a vedere cosa potresti essere agli occhi degli altri… e tu, invece, sei già tanto di più.
Ma loro non lo sanno. Non vogliono saperlo.
E tu, nel frattempo, impari. Impari che il mondo è pieno di persone che parlano per non sentirsi vuote, che giudicano per non guardarsi dentro. E piano piano, smetti di chiederti perché.
Perché la verità è che quando parlano di te, stanno solo gridando la loro paura di non essere abbastanza.
