Vi siete mai fermati a riflettere su come siamo cresciuti in un mondo senza cinture di sicurezza o airbag? Era un tempo in cui la sicurezza non era una priorità, eppure ci sentivamo liberi. In bicicletta, nessuno indossava il casco: c’era solo il vento nei capelli e la strada davanti a noi. E quando avevamo sete, non c’erano bottiglie d’acqua minerale pronte all’uso, ma ci bastava bere dal tubo del giardino, senza pensarci due volte.
Le nostre giornate erano piene di avventure, passate a costruire carretti con ruote instabili per poi lanciarci giù per le discese, senza freni. E sì, qualche volta finivamo nei cespugli, ma non era un problema: era parte del divertimento, della sfida, del modo in cui imparavamo a rialzarci. Non c’erano macchine contro cui scontrarsi, solo la natura a fare da cornice alle nostre esplorazioni.
Stavamo fuori tutto il giorno, con una sola regola: tornare a casa prima del tramonto. Nessuno aveva un cellulare per controllarci, e nessuno si preoccupava se eravamo irraggiungibili. La libertà era totale, e ogni avventura sembrava infinita. La scuola? Volava via in un attimo, e a mezzogiorno tornavamo a casa per pranzare insieme, con papà seduto a tavola.
Gli incidenti? Facevano parte del gioco. Ci tagliavamo, rompevamo qualche osso, magari perdevi un dente, ma non c’era nessuno che puntava il dito per incolpare qualcuno. Eravamo noi a prendere le conseguenze delle nostre azioni. E tra un pezzo di pane con olio, biscotti fatti in casa e bibite zuccherate, nessuno si preoccupava delle calorie. Eravamo sempre in movimento, sempre fuori, sempre in gioco.
Non c’erano PlayStation, telefoni o schermi a distrarci. Avevamo qualcosa di molto più prezioso: amici veri. Uscivamo di casa, saltavamo sulla bici o facevamo una passeggiata fino a casa di un amico. Suonavamo il campanello, quando non entravamo direttamente, e lui era lì, pronto per una nuova avventura.
A scuola non tutti erano brillanti, e chi non passava l’anno, lo ripeteva senza drammi. Non serviva uno psicologo per superare la cosa, accettavamo il fallimento come parte della vita. E magari, dopo qualche scapaccione, ci rimettevamo in riga.
Cosa ci ha insegnato tutto questo? Libertà, responsabilità, il gusto amaro del fallimento e la gioia della vittoria. Ci siamo alzati da soli, imparando a gestire tutto ciò che la vita ci metteva davanti.
E alla fine, la vera domanda non è come abbiamo fatto a sopravvivere, ma come abbiamo imparato a vivere così intensamente.